Uso delle batteriocine a scopo terapeutico: futuri scenari per il
loro utilizzo

Il risultato di più di 60 anni di uso eccessivo di antibiotici, sia a livello prescrittivo medico che nella filiera alimentare, è quello di aver selezionato batteri sempre meno sensibili agli antibiotici.

Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza si sta manifestando con l’aumento delle infezioni nosocomiali e il riemergere di malattie dimenticate; il problema è così critico che l’OMS di recente ha lanciato l’allarme e stilato l’elenco dei patogeni più problematici per la loro antibiotico-resistenza.

Lo studio “Mobilization of Microbiota Commensals and Their Bacteriocins for Therapeutics”, pubblicato nel 2019 su Cell Press, descrive le batteriocine come un’alternativa credibile agli antibiotici, elencandone gli effetti e i benefici comparativi, ma anche la possibilità di arricchire il microbiota umano di specie commensali produttrici di batteriocine, al fine di contenere le specie patogene e ridurre la necessità di antibiotici.

Origine e significato delle batteriocine

Per definizione, le batteriocine sono peptidi procariotici sintetizzati ribosomicamente, dotate di proprietà antibatteriche e destinate ad essere secrete. I geni per la loro sintesi di solito sono espressi nel genoma ma a volte anche nei plasmidi.

Le batteriocine sono attualmente considerate il meccanismo più diffuso usato dai microorganismi nella loro competizione per l’occupazione dei territori tissutali e la disponibilità di nutrienti.

Una parte significativa delle batteriocine possiede uno spettro ristretto di attività antimicrobica, correlato alla loro filogenesi o alla loro ecologia; questo costituisce un grosso vantaggio potenziale al loro uso terapeutico, in quanto una molecola antimicrobica a spettro ristretto colpisce specificamente le popolazioni patogene bersaglio, limitando la distorsione dell’omeostasi dell’ecosistema.

Caratteristiche funzionali delle batteriocine

Sebbene la loro scoperta abbia preceduto la penicillina, l’uso delle batteriocine è stato limitato ad esigenze di bioconservazione: la principale molecola utilizzata a tale scopo è la nisina, batteriocina ad ampio spettro prodotta industrialmente per la conservazione di alimenti (E234).

La nisina, come altre batteriocine, prende di mira il lipide II ancorato al peptidoglicano della parete batterica, allentandone la struttura fino a formare pori da cui fuoriescono i componenti citosolici, provocando così la morte della cellula batterica colpita.

A livello fisico-chimico, le batteriocine sono in genere meno labili degli antibiotici e possono supportare alte temperature e pH estremi; la stabilità è direttamente correlata alla diversa struttura delle batteriocine e alle diverse modificazioni post-traduzionali.

D’altra parte, a causa della loro struttura polipeptidica, esse potrebbero essere più sensibili alle proteasi rispetto agli antibiotici a base chimica. La loro struttura, però, potrebbe costituire uno scheletro su cui effettuare modifiche che permettano di ottimizzarne le caratteristiche di stabilità e funzionalità in senso farmacologico, favorendo così la ricerca di nuove molecole antimicrobiche; consideriamo che ad oggi, in campo medico e veterinario, si hanno a disposizione meno di 150 diverse molecole antibiotiche, mentre il numero di batteriocine indicizzate supera le 800 Unità.

Integrazione probiotica di batteri produttori di batteriocine

Poiché la secrezione di batteriocine è stata dimostrato essere un fattore essenziale per la colonizzazione del tratto digerente anche da parte dei batteri commensali umani, si potrebbero usare ceppi probiotici produttori di batteriocine, somministrati per via orale, al fine di controllare l’eccessiva colonizzazione di specie patogene o addirittura contrastarne direttamente l’attecchimento.

I probiotici utili a tale scopo devono presentare quattro caratteristiche irrinunciabili: una sostanziale attività antipatogena batteriocino-mediata, un effetto non citotossico per le cellule dell’ospite, un’alta prevalenza nella popolazione umana e una persistenza soddisfacente sui tessuti umani.

Streptococcus salivarius K12 e potenzialità delle sue batteriocine

Lo Streptococcus salivarius sembra essere una specie promettente per l’uso probiotico, e soprattutto il ceppo Streptococcus salivarius BLIS K12, un clone che si è dimostrato in grado di secernere batteriocine ad alta potenza contro vari patogeni infettivi dell’apparato respiratorio e non solo.  

BLIS K12 ostacola la crescita in vitro e in vivo di Streptococcus pyogenes, Streptococcus mutans, Listeria monocytogenes e Micrococcus luteus, oltre che di batteri responsabili della polmonite (S. pneumoniae), di patogeni potenziali a colonizzazione vaginale (Streptococcus agalactiae), di agenti responsabili di infezioni otorinolaringea (Moraxella catarrhalis) e polmonare (Corynebacterium diphtheriae).

È stato anche proposto che lo S. salivarius K12, se applicato localmente, possa ridurre l’acne inibendo lo sviluppo di Cutibacterium acnes.

Riuscire a ridurre l’incidenza di tali infezioni, in un quadro di intervento preventivo, comporterebbe un notevole risparmio di antibiotici, riducendo progressivamente il rischio dello sviluppo di antibiotico-resistenza da parte dei batteri patogeni coinvolti.

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