Iperuricemia: il dismetabolismo che merita più attenzione per il conseguente rischio cardiovascolare

L’acido urico è il prodotto finale del catabolismo delle purine, per cui aumentati livelli plasmatici di questo metabolita possono essere conseguenza diretta di un’aumentata produzione o di una ridotta escrezione attraverso le urine.

Dal punto di vista fisiopatologico, l’effetto più noto di un’iperuricemia persistente è il tipico accumulo di cristalli di urato monosodico a livello delle articolazioni, con conseguente sviluppo della gotta.

Aumentati livelli plasmatici di acido urico, però, possono essere responsabili anche di disordini renali cronici.

In aggiunta, il recente Statement pubblicato dalla Società Italiana di Cardiologia, Statement ANMCO: Acido urico e malattie cardiovascolari: evidenze e approccio terapeutico, evidenzia come processi fisiopatologici promossi dall’acido urico svolgano un ruolo importante anche nella patogenesi di molte malattie cardiovascolari.

L’aumento del rischio cardiovascolare in seguito all’incremento di 1 mg/dl di uricemia

La pubblicazione riporta diversi articoli e metanalisi che confermano la correlazione tra aumentati livelli di acido urico sierico e un incremento del rischio cardiovascolare.

Una metanalisi ha arruolato 55607 pazienti con età media di 44 anni e ha dimostrato che il rischio di ipertensione incidente aumenta del 13% per ogni incremento di 1 mg/dl di uricemia. Numerosi studi suggeriscono, inoltre, che l’iperuricemia correli anche con un aumentato rischio di coronaropatie: per ogni incremento di 1 mg/dl di uricemia, il rischio di coronaropatia e di mortalità per tutte le cause aumenta rispettivamente del 20% e 9%.

L’iperuricemia è una condizione frequente anche nei pazienti con scompenso cardiaco; in una coorte di 1869 pazienti ricoverati per scompenso cardiaco, più della metà (56%) presentava elevati valori di uricemia (≥7.4 mg/dl).

Un’altra metanalisi ha infatti dimostrato che, per ogni incremento di 1 mg/dl di uricemia, la probabilità di sviluppare scompenso cardiaco aumenta del 19% e tra i pazienti affetti da scompenso cardiaco la mortalità aumenta del 4%.

I meccanismi fisiopatologici alla base dell’aumentato rischio cardiovascolare

La sintesi dell’acido urico è regolata dall’enzima xantina ossido-reduttasi (XOR) che converte la xantina in acido urico e, per farlo, utilizza l’ossigeno molecolare come accettore di elettroni portando dunque alla formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS).

Per cui, quando l’attività della xantina ossidasi è aumentata, non solo si ha una condizione di iperuricemia ma anche una concomitante over-produzione di ROS.

In questo contesto lo stress ossidativo favorisce l’ossidazione lipidica andando a ridurre la biodisponibilità di NO (ossido nitrico), importante vasodilatatore, con conseguente effetto deleterio sulla funzione endoteliale.

Inoltre, la XOR favorisce anche l’uptake del colesterolo LDL da parte dei macrofagi contribuendo alla trasformazione degli stessi in cellule schiumose, un processo cruciale nella patogenesi delle lesioni aterosclerotiche.

Un ulteriore potenziale meccanismo che è stato ipotizzato per spiegare l’associazione tra iperuricemia e malattie cardiovascolari è l’attivazione dell’inflammasoma e delle cascate infiammatorie intracellulari indotte dai depositi di urato.

La pubblicazione conclude evidenziando la necessità di monitorare il parametro dell’uricemia già a partire dai valori considerati soglia dalle linee guida europee (6.8 mg/dl per l’uomo e 5.7 mg/dl per la donna) mediante impiego di opportuni trattamenti che agiscano su tale parametro.