Serbatoi intestinale, vaginale e vescicale sono implicati nelle donne con UTI ricorrenti
Le infezioni del tratto urinario (UTI) sono responsabili di circa 400 milioni di infezioni, risultando essere una delle infezioni più frequenti e ad alto costo socio-economico.
Il batterio più comune implicato nelle UTI è l’Escherichia coli uropatogeno (UPEC) e l’attuale terapia di prima linea prevede l’uso di antibiotici.
La recidiva delle infezioni delle vie urinarie (rUTI) è un grave problema, generato da una combinazione di fattori ambientali, batterici e dell’ospite, che contribuisce alla morbilità del paziente e allo sviluppo della resistenza agli antibiotici.
Si stima che circa il 50% delle donne andrà incontro ad almeno un’infezione delle vie urinarie nel corso della vita, mentre dal 2% al 3% di tutte le donne svilupperà rUTI.
La review appena pubblicata su Nature Urinary tract infections: pathogenesis, host susceptibility and emerging therapeutics raccoglie le più accreditate evidenze scientifiche in merito a patogenesi, recidive, interazioni ospite-patogeno e terapie emergenti per le rUTI.
Reservoir patogenico all’interno dell’ospite
È importante sottolineare come almeno il 50% delle rUTI sia causato dallo stesso ceppo che ha provocato l’episodio iniziale.
Ciò suggerisce che l’agente patogeno potrebbe avere un serbatoio all’interno dell’ospite, possibilmente all’interno della vescica stessa o all’interno della vagina o ancora nel microbiota intestinale.
Normalmente, in acuto gli UPEC invadono la cellula ospite e si espandono per formare comunità batteriche intracellulari (IBC) all’interno del citosol ospite; in aggiunta a ciò, è stata dimostrata l’esistenza di “serbatoi intracellulari quiescenti”, ovvero raccolte di UPEC racchiuso in vescicole che riescono a permanere all’interno delle cellule epiteliali superficiali settimane dopo l’infezione, quando esfoliazione e rigenerazione epiteliale sono completi: possono dunque innescare una recidiva in caso di insulto epiteliale.
Esiste poi un’asse intestino-vescica: anche il microbiota intestinale, infatti, contribuisce alle rUTI nella misura in cui consente a una dose maggiore di UPEC di persistere nell’intestino, fornendogli così maggior opportunità di traslocazione dall’intestino alle vie urinarie.
Tendenzialmente, i pazienti con rUTI non solo sono portatori di UPEC, ma presentano anche disbiosi diffusa e disregolazione immunitaria.
Infine, anche il microbiota vaginale funge da serbatoio per gli uropatogeni (asse vagina-vescica).
Un microbiota vaginale “sano” è dominato da una singola specie di Lactobacillus, mentre in caso di disbiosi vaginale aumenta la biodiversità e dunque il rischio di UTI.
Viceversa, una colonizzazione vaginale da uropatogeni avviene molto più di frequente in donne con rUTI che in sane.
Diversi dati della letteratura supportano l’idea che la vagina e l’area periuretrale possono avere un ruolo cruciale nel facilitare il movimento di patogeni verso la vescica.
Il ruolo del microbiota vaginale sembra però non essere solo quello di “serbatoio”, ma anche di modulatore verso le infezioni vescicali da UPEC.
Ad esempio, S. agalactiae e G. vaginalis sono stati correlati a un incremento di UPEC, al contrario il L. crispatus può avere un ruolo protettivo nel vescica migliorando le risposte dell’interferone di tipo 1 e promuovendo la morte dell’UPEC.
Nuove frontiere nella prevenzione e/o trattamento delle UTI
Le terapie emergenti per prevenire e/o trattare le UTI possono essere distinte in:
- contrasto agli agenti patogeni: nuovi antibiotici e vaccini, ma anche antiadesivi quali D-mannosio e Cranberry che interferiscono meccanicamente con l’ancoraggio dei pili di coli all’urotelio;
- modulazione del microbiota: trapianto di microbiota fecale, terapie probiotiche;
- immunomodulazione: FANS, come l’ibuprofene, in alternativa agli antibiotici.
Alcune delle terapie inizialmente esaminate nel distretto vescicale, come i mannosidi e il Cranberry, hanno dimostrato capacità di esaurire l’UPEC dal serbatoio intestinale.
A questo si aggiunge l’interesse sempre più crescente nell’impiego di probiotici che agiscano sul serbatoio patogenico di tutti e tre gli organi; gli studi clinici finora condotti hanno centrato l’attenzione su Lactobacillus spp., con l’obiettivo implicito di ripristinare un’eubiosi vaginale che escluda la presenza di uropatogeni. Ad esempio, la somministrazione di un probiotico contenente L. crispatus, raggiunta la colonizzazione vaginale in 10 settimane, ha ridotto notevolmente l’incidenza di rUTI.
In conclusione, determinate terapie innovative hanno il potenziale di ridurre le rUTI, migliorare la qualità di vita dei pazienti e migliorare la resilienza contro l’antimicrobico-resistenza.