Malattia diverticolare non complicata: come ridurre la sintomatologia?
La malattia diverticolare è una delle patologie gastrointestinali più comuni nel mondo occidentale. La prevalenza di diverticolosi, ovvero l’esistenza di più diverticoli non infiammati, aumenta con l’età: colpisce circa un terzo dei soggetti over 45 e viene rilevata in due terzi dei soggetti a 85 anni di età.
La nomenclatura legata a questa malattia crea una certa confusione in quanto molte classificazioni sono legate solo alla diverticolite acuta e ricorrente; tuttavia, esiste un gran numero di pazienti che presentano sintomi cronici come dolore addominale, flatulenza, gonfiore, tenesmo e diarrea senza una marcata infiammazione diverticolare.
Nell’articolo Non-interventional study evaluating efficacy and tolerability of rifaximin for treatment of uncomplicated diverticular disease si è voluto dimostrare come l’uso di un antibiotico non assorbito e con attività locale come la rifaximina, riduca in maniera significativa i sintomi della malattia diverticolare non complicata.
Quali effetti ha dimostrato l’uso di rifaximina nella malattia diverticolare non complicata?
Il trattamento di questa patologia con l’integrazione di fibra, probiotici e antispastici mostra risultati contrastanti, inducendo i clinici a provare nuove terapie.
La scelta di utilizzare cicli di rifaximina di 7-10 giorni ad una posologia di 400mg ogni 12 ore si è basata su studi precedenti che mostravano dei miglioramenti significativi nei pazienti con diverticolite i cui sintomi spesso combaciano con la malattia diverticolare non complicata.
Il gruppo di ricerca, costituito da 193 medici, ha reclutato un totale di 1.054 pazienti con malattia diverticolare non complicata e che mostravano sintomi quali diarrea, dolore addominale, flatulenza e gonfiore. Il trattamento con rifaximina per cicli di 7-10 giorni è durato 3 mesi; al termine del lavoro i ricercatori hanno registrato una riduzione significativa di tutti i sintomi valutati (P<0.001), con una tollerabilità molto buona della terapia farmacologica. Questo lavoro dimostra come la rifaximina possa essere presa in considerazione per ridurre la sintomatologia nei soggetti con malattia diverticolare non complicata.
Qual è il ruolo dei probiotici nei soggetti con malattia diverticolare non complicata?
Nella pratica clinica, l’aggiunta di un probiotico dopo il ciclo di rifaximina è molto comune; la letteratura però suggerisce che l’aderenza dei pazienti alla terapia con probiotici è generalmente scarsa, probabilmente a causa dell’effetto benefico che l’antibiotico ha già avuto sui sintomi.
Per favorire l’aderenza alla terapia, i due trattamenti, antibiotico e probiotico, dovrebbero essere concomitanti, in modo da ridurre i giorni totali di cura e migliorarne l’aderenza. Questa strategia risulta illogica a causa del profilo di sensibilità agli antibiotici dei ceppi probiotici in commercio.
Nello studio clinico Effects of rifaximin-resistant Bifidobacterium longum W11 in subjects with symptomatic uncomplicated diverticular disease treated with rifaximin i ricercatori hanno testato l’aggiunta del ceppo B. longum W11 quando assunto in concomitanza oppure dopo il trattamento con rifaximina (400mg ogni 12 ore per 7 giorni) nei pazienti con sintomi da malattia diverticolare non complicata.
La scelta specifica di questo ceppo probiotico è stata dettata dalla sua caratteristica unica di risultare resistente alla rifaximina.
L’endpoint principale dello studio era valutare la riduzione dei sintomi, ma soprattutto se la co-somministrazione, B. longum W11 + rifaximina, avesse avuto senso, in termini di conferimento di vantaggi clinici rispetto alla supplementazione dello stesso probiotico somministrato al termine del trattamento antibiotico.
Dopo 3 cicli di trattamento, entrambi i gruppi di pazienti hanno ridotto in maniera significativa diarrea, dolore addominale, flatulenza e gonfiore, con un miglioramento maggiore nel gruppo che assumeva il probiotico in concomitanza all’antibiotico. Inoltre il gruppo che assumeva W11 e rifaximina ha mostrato un’aderenza alla terapia del 95% rispetto al 65% dei soggetti che assumeva il probiotico post-trattamento antibiotico.