
La silibina nel trattamento delle patologie degenerative epatiche
L’uso del cardo mariano come rimedio curativo fitoterapico è iniziato nell’antica Roma ed è ancora oggi in uso. Con lo sviluppo della medicina e delle tecniche farmaceutiche, i ricercatori hanno gradualmente scoperto che l’estratto secco dei frutti di Cardo mariano contiene una miscela di principi attivi, nota come silimarina, in cui il flavanolignano silibina rappresenta il principale costituente bioattivo (70-80% del totale degli attivi).
La review del 2024 “Silybin: A Review of Its Targeted and Novel Agents for Treating Liver Diseases Based on Pathogenesis” fa il punto sui risultati più recenti della ricerca sulla silibina per il trattamento delle malattie del fegato, con un’attenzione particolare alle nuove formulazioni della molecola al fine di favorirne la biodisponibilità, come i vettori liposomiali e le nanotecnologie.
Epidemiologia dei tumori epatici
Secondo i dati oncologici del 2020, il cancro primario al fegato è il sesto tumore più comunemente diagnosticato al mondo e la terza causa di morte per cancro al mondo. I tumori primari al fegato includono principalmente il carcinoma epatocellulare (HCC) e poi, in misura minore, il colangiocarcinoma (CCA) e l’epatoblastoma (HB).
Tra le cause principali di HCC troviamo l’infezione da epatite virale di tipo B (HBV) che può evolvere in fibrosi e poi in cirrosi epatica, responsabile di circa il 54% dei casi, oltre alla malattia epatica cronica, al consumo di alcol, alla steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e alla steatosi epatica associata a disfunzione metabolica (MAFLD).
Meccanismi d’azione della silibina come antitumorale
La silibina può trattare la malattia epatica cronica, il cancro al fegato, la fibrosi epatica e altre malattie epatiche grazie ai suoi effetti antinfiammatori, antiossidanti e antifibrotici. Di recente sono stati esaminati e chiariti i meccanismi farmacologici della silibina nel trattamento delle malattie epatiche.
Nello sviluppo dell’HCC sono coinvolte una varietà di proteine del ciclo cellulare; la silibina ha dimostrato di trattare l’HCC regolando le cicline, oltre ad inibire la crescita tumorale e a provocare l’apoptosi cellulare.
Nelle linee cellulari umane di HCC di tipo HepG2 e Hep3B, la silibina ha esercitato effetti inibitori della crescita, citotossici e apoptotici; inoltre, ha ridotto i livelli di proteine D1, D3 ed E del ciclo cellulare, e quelli delle proteine del ciclo cellulare chinasi-dipendenti CDK2 e CDK4 in entrambe le linee cellulari.
Riguardo il blocco dei processi mitotici cellulari, nelle cellule HepG2 la silibina causa il blocco in G1, e nelle cellule Hep3B il blocco in G1 e G2-M, nonché una diminuzione dei livelli proteici dei regolatori G2-M.
É stato scoperto che la silibina induce l’apoptosi nelle cellule HepG2 tramite il percorso mitocondriale, riducendo l’espressione della proteina Bcl2 (proteina anti-apoptotica), aumentando l’espressione della proteina Bax (proteina pro-apoptotica) nonché l’attività della caspasi3, passaggio chiave nel processo apoptotico.
La silibina è anche in grado di proteggere le cellule epatiche dall’apoptosi indotta da etanolo e dalla fissione mitocondriale indotta dall’ acetaldeide.
Oltre alla regolazione del ciclo cellulare, la silibina può anche inibire la crescita e la proliferazione delle cellule HCC bloccandone l’invasione e le metastasi, intervenendo sulle vie di segnalazione Wnt/β-catenina e PI3K/Akt/mTOR, sul fattore di crescita degli epatociti (HGF)/cMET e OS.
Nelle cellule HepG2, l’isoforma CYP1A1 del citocromo P450 è l’unico enzima la cui espressione può essere indotta ed è coinvolto nell’induzione della carcinogenesi da parte di sostanze chimiche come gli idrocarburi aromatici policiclici; recentemente è stato riferito che la silibina inibisce l’attività catalitica di CYP1A1, favorendo il suo ruolo citoprotettivo nel metabolismo epatico.
Questi risultati sperimentali stabiliscono l’efficacia biologica della silibina sulle cellule del carcinoma epatocellulare, a supporto della sua applicazione clinica antitumorale.
Il problema della biodisponibilità della silibina
Appurata la funzionalità e la capacità antitumorale della silibina, un altro problema che ha richiesto approfondite ricerche è stato quello di superare il limite terapeutico legato alla scarsa biodisponibilità della molecola.
Le limitazioni sono dovute principalmente alla bassa solubilità in acqua della silibina e alla sua bassa biodisponibilità dovuta sia allo scarso assorbimento intestinale che all’ampio metabolismo di primo passaggio epatico; dopo la somministrazione orale, la silibina assorbita viene rapidamente solfatata e glucuronidata nel fegato e poi escreta attraverso la bile.
Uno dei sistemi che hanno permesso il miglioramento del parametro dell’assorbimento intestinale è quello della veicolazione della silibina in vettori liposomiali di natura vegetale (fitosomi).
Le analisi hanno indicato che l’efficienza di assorbimento cellulare dei liposomi vegetali di silibina era 2,4 volte superiore a quella delle molecole libere, esibendo un’attività farmacologica effettiva superiore di 300 volte. Si può quindi concludere che i liposomi vegetali rappresentino un sistema di somministrazione efficace per la promozione dell’attività della silibina a tutti i livelli.
