Amoxicillina e amoxicillina/acido clavulanico: l'impatto sul microbiota intestinale

Gli antibiotici, in particolare quelli ad ampio spettro, se da un lato sono un trattamento salva-vita poiché in grado di contrastare numerose infezioni batteriche anche gravi, dall’altro lato possono impattare in modo drastico anche sulla quota commensale del microbiota intestinale.

Il recente articolo dal titolo Antibiotics and the gut microbiome: understanding the impact o human health indaga le conseguenze dell’antibiotico terapia dapprima sulla composizione del microbiota intestinale e, in secondo luogo, le conseguenze cliniche a breve e lungo termine della disbiosi.

L’impatto delle penicilline sul microbiota intestinale

L’articolo in questione evidenzia come gli antibiotici, in particolare le penicilline, possano determinare una disbiosi intestinale caratterizzata da un’aumentata quota di batteri patogeni e una riduzione dei generi batterici commensali quale, nello specifico, quello dei bifidobatteri.

Tale disbiosi determina un’alterata funzionalità del microbiota intestinale che è coinvolto in numerose attività importanti per la salute dell’ospite quali: modulazione del sistema immunitario, mantenimento della funzione barriera intestinale, mantenimento della corretta omeostasi metabolica, produzione e rilascio di SCFAs (acidi grassi a corta catena) con attività anti-infiammatoria e modulazione dell’asse intestino-cervello grazie alla produzione di neurotrasmettitori (es. GABA).

Tutto ciò comporta delle conseguenze cliniche a medio e lungo termine.

Le prime conseguenze della terapia antibiotica, in termini temporali, riguardano la maggior predisposizione a infezioni sostenute dai patogeni resistenti (es. C. difficile e H. pylori) e l’insorgenza dell’effetto indesiderato più frequente: la diarrea.

La terapia antibiotica, però determina anche conseguenze a lungo termine di varia natura: obesità, asma, atopie e IBD.

L’articolo conclude sottolineando l’importanza di somministrare probiotici al fine di “limitare” i danni causati dagli antibiotici sul microbiota intestinale e suggerendo la necessità di ricercare nuove soluzioni ancor più efficaci.

B. breve PRL2020 e la resistenza intrinseca all’amoxicillina/ac. clavulanico

Lo studio Bifidobacterium breve PRL2020: antibiotic-resistant profile and genomic detection of antibiotic resistance determinants ha verificato e analizzato la resistenza del ceppo batterico B. breve PRL2020 agli antibiotici, dimostrandone la sicurezza di utilizzo.

Lo studio ha dimostrato come, per tutti gli antibiotici previsti dalle linee guida EFSA, il PRL2020 abbia dimostrato caratteristiche conformi ai parametri stabiliti, avendo una MIC uguale o inferiore a quella fissata da EFSA.

Riguardo alle MIC di amoxicillina e amoxicillina/ac. clavulanico (AMC), queste risultavano rispettivamente di 64 e 32 µg/ml.

Inoltre, è stata eseguita un’approfondita analisi genomica sul ceppo, per valutare la presenza di geni riconosciuti responsabili dell’antibiotico resistenza e di elementi mobili.

La negatività di entrambe queste analisi ha consentito di definire la resistenza del PRL2020 come intrinseca e non trasferibile.

I risultati di questo studio risultano essere fondamentali in quando dimostrano la sicurezza di utilizzo del PRL2020 e confermano l’opportunità di utilizzarlo in corso di terapia antibiotica, sia per prevenire la diarrea da antibiotico sia per contrastare la disbiosi conseguente all’uso dell’antibiotico stesso.

brevicillin