Quanto è utile l’analisi del microbiota nella pratica clinica?
Le conoscenze sul microbiota intestinale e sulle metodiche più accurate per il suo studio sono costantemente in aumento, così come anche le implicazioni cliniche di queste nuove acquisizioni.
Infatti, nuovi lavori mostrano l’utilità dell’analisi del microbiota nell’identificazione e gestione di una patologia, anche in termini predittivi; nonostante questo, però, il test è ancora poco utilizzato.
Un lavoro pubblicato a luglio del 2023 “Can the analysis of the gut microbiota have a clinical application in real life?” ha messo in luce come l’utilizzo del test del microbiota intestinale possa essere di grande vantaggio nella pratica clinica.
Il caso clinico
All’interno del lavoro è stato descritto il caso clinico di un ragazzo di 22 anni che si è rivolto ai clinici autori del lavoro perché affetto, da diversi anni, da sintomi post-prandiali quali mal di testa, gonfiore e rinorrea, particolarmente severi dopo l’ingestione di latticini e pesce.
Diversi approcci dietoterapici erano stati adottati dal paziente in passato, tra i quali la dieta a basso contenuto di FODMAPs, che però non aveva apportato nessun beneficio. Inoltre, il ragazzo aveva chiaramente precisato di non avere sintomi dopo l’ingestione di frutta e verdura, mentre l’eliminazione dalla dieta dei derivati del latte e di cibi proteici avevano migliorato molto i sintomi.
Un’approfondita valutazione allergologica ha consentito di eliminare ogni sospetto di allergia; sono risultati negativi anche il test di intolleranza al lattosio e il test per la presenza di H.pylori.
Quindi, è stata effettuata l’analisi del microbiota fecale e da qui è emersa la presenza di un microbiota disbiotico, in quanto caratterizzato da bassa biodiversità, aumento dei proteobatteri, riduzione dei batteri butirrato-produttori e aumento dei batteri produttori di istamina. Questi dati hanno suggerito la presenza di SIBO dovuta all’eccessiva crescita di proteobatteri produttori di istamina.
Gli autori hanno ipotizzato allora che una dieta ricca di proteine stimolasse talmente tanto questi batteri a produrre istamina dall’istidina, derivante dai cibi ingeriti, da superare la capacità delle diamminossidasi (DAO) endogene di metabolizzare l’istamina; tale ipotesi è stata confermata quando l’assunzione di un prodotto a base di DAO ai pasti principali ha consentito da subito l’azzeramento dei sintomi, anche con l’ingestione di latticini e pesce.
La SIBO è stata in seguito confermata dal test al lattulosio e dall’analisi delle urine per il contenuto di Indicano e Scatolo. Infatti, gli elevati livelli di idrogeno e di Indicano rilevati hanno suggerito una sovracrescita batterica a livello dell’intestino tenue.
Il vantaggio derivato dall’analisi del microbiota
La SIBO conclamata è stata trattata con rifaximina 600 mg per 2 volte al giorno, per 2 settimane. In seguito al trattamento i sintomi sono stati completamente azzerati, anche senza l’assunzione dell’enzima DAO e con una dieta libera.
Al follow up a 4 mesi dalla fine della terapia il paziente non lamentava più nessun sintomo. Inoltre, un secondo test del microbiota è stato effettuato dopo 60 giorni dal termine della terapia antibiotica ed ha evidenziato un aumento della biodiversità, una diminuzione dei proteobatteri produttori di istamina e un aumento dei batteri butirrato-produttori.
Il caso clinico descritto mette in evidenza come l’analisi del microbiota consenta di ottenere i dettagli necessari per una corretta diagnosi e per l’approccio terapeutico più appropriato, senza ricorrere all’impiego di tecniche più invasive.
Per questi motivi, gli autori sostengono che l’analisi del microbiota intestinale dovrebbe entrare a fare parte degli strumenti di cui il gastroenterologo può disporre con vantaggio nella sua pratica clinica quotidiana.