Candidosi vulvovaginale: a che punto è la letteratura?
Nell’ambiente vaginale, i batteri sono presenti in una delicata relazione mutualistica che rappresenta la prima linea di difesa contro la colonizzazione e l’infezione da parte di patogeni opportunisti.
Alcune specie di lattobacilli infatti, soprattutto L. crispatus, giocano un importante ruolo fisiologico nel mantenimento di un pH acido a livello vaginale grazie alla produzione di acido lattico, che permette di proteggere l’ambiente vaginale dall’invasione da parte di altri microorganismi.
Per questo, un microbiota vaginale non dominato da una singola specie batterica ma dominato da specie anaerobie come Garderella è associato a sintomatologie vaginali riconducibili ad una vaginosi batterica.
L’utilizzo di probiotici specifici potrebbe quindi essere utile proprio nell’impattare sul microbiota vaginale, con tutti i benefici che ne possono derivare.
Nello studio di luglio 2022, The vaginal microbiome following orally administered probiotic, microbiologi danesi sono andati a valutare l’impatto sul microbiota vaginale da parte di una combinazione probiotica per uso orale contenente L. rhamnosus e L. gasseri utilizzando metodi di analisi di ultima generazione.
Lo studio
Nello studio, sono state arruolate 16 donne con età tra i 19 e i 45 anni, trattate per 8 settimane con una combinazione probiotica orale contenente L. gasseri e L. rhamnosus. Al fine di valutare l’impatto di questa combinazione sul microbiota vaginale, sono stati prelevati 3 campioni vaginali (arruolamento, 30 giorni di trattamento e 60 giorni di trattamento) per ciascuna donna e analizzati tramite l’innovativa tecnologia dello Shotgun metagenomic sequencing, in grado di caratterizzare in modo preciso le comunità microbiche.
I risultati dei test hanno evidenziato come, sia dopo 30 che dopo 60 giorni di utilizzo dei ceppi probiotici, non fosse avvenuto nessun impatto di questi sul microbiota vaginale, tanto da non trovare differenze statisticamente significative rispetto al tampone all’arruolamento.
Viene infatti riportato come il L. rhamnosus non fosse rintracciabile in nessuno dei campioni vaginali analizzati, e di come il L. gasseri fosse sì presente in 33 delle 48 analisi effettuate, ma riportando come questa specie batterica fosse già presente all’arruolamento all’interno dei campioni di queste donne e di come l’abbondanza del batterio non fosse significativamente differente dopo 30 o 60 giorni di trattamento rispetto a quella presente all’arruolamento.
Il mancato impatto dei due batteri probiotici sul microbiota vaginale è stato inoltre certificato dall’abbondanza delle Metagenomic species tra baseline e post-trattamento, notando come non ci siano state differenze significative tra i due momenti e di come quindi, sostanzialmente, il microbiota vaginale sia rimasto inalterato prima e dopo il trattamento.
Le conclusioni
Gli autori spiegano i risultati indicando come i L. rhamnosus, così come i L. reuteri, siano batteri solitamente utilizzati in probiotici orali ma di come questi siano solamente transienti a livello della vagina, non arrivando a colonizzare in maniera stabile, come evidenziato in diversi altri studi.
Il mancato impatto del L. gasseri viene anche correlato nello studio ad un basso dosaggio del probiotico, il quale non arrivava al miliardo di unità facenti colonia.
Lo studio conclude quindi come siano necessari ulteriori studi che utilizzino la tecnologia del Shotgun metagenomic sequencing per valutare l’impatto o meno di probiotici sul microbiota vaginale e la conseguente modulazione di questo consorzio così importante per la salute della donna.